Associazione Culturale Le Nuvole
Napoli
Premio Letterario Nazionale
"Le Nuvole - Peter Russell"
XIV Edizione 2016
Sabato 22 Ottobre 2016
Ore 16.00
Convento San Domenico Maggiore
Sala San Tommaso
Basilica San Domenico Maggiore
Napoli
CLASSIFICA FINALE
Sezione Poesia
1° Classificato M’illude l’attimo
Daniele D’Ignazi – Ciampino (Rm)
2° Classificato Milano stamattina Carmelina Giancola – Boiano (Cb)
3° Classificato Napoli
Antonio Damiano – Latina
Premio della Critica Gli angeli non muoiono…
Salvatore Lagravanese – Casal di Principe (Ce)
Sezione Libro
1° Classificato Sguardi quotidiani
Anna Santarelli – Rieti
2° Classificato L’eterno vivere nel relativo assoluto
Giosofatte Frisina – Oppido Mamertina (RC)
3° Classificato Incipit – Parole Miti Emozioni
Fulvia Diotti – Albissola Marina (Sv)
Sezione Narrativa
1° Classificato Io le parole non le conosco
Sergio Ragno – Abbiategrasso (Mi)
2° Classificato L’ eco del mare
Maddalena Frangioni – Segrate (Mi)
3° Classificato Incontro con Massimo Troisi… Davide Kuhn Certosino – Napoli
Premio della Critica Mo Daria Margo – Firenze
“M’ illude l’attimo”
Daniele D’ Ignazi – Ciampino (Rm)
Quando il pensiero passa per scenari reali, il tempo stesso appare come inondazione di immagini e strane solitudini diventate vita. Sbanda l’anima in ogni spigolo irrisolto della memoria. Un’ ombra di luce in rapido volo… e sagome di uomini ghermiscono il pensiero che, fra millenni di storia e il quotidiano vivere, si fa intreccio di infiniti frattali di speranze, di gesta, di tempi. Ma, nel gorgo potente di una Parola poetica che, da percepita assenza di sé scioglie in nitidezza del vero, torna piana ogni devastante asperità.
M’illude l’attimo
Quando fermo è il pensiero mio alla fonda,
chiglia arresa dinanzi alla radura,
e sullo scioglier di vele matura
l’ombra del giorno nel tempo che affonda,
ad un transito di sagome d’uomo
sul molo distante l’occhio mio poso,
ma presto un volo che narrar non oso
mi ruba lo sguardo, un transito indomo.
Mi unisco al volo sui picchi eternali
e in quell’istante che sfugge alla briglia
i mesti profili dal passo greve
lascio ai loro mali del tempo breve,
e ho pena per chi più non mi somiglia:
qui… m’illude l’attimo di avere ali.
“Milano stamattina”
Carmelina Giancola – Boiano (Is)
La Bellezza, talora preclusa ai limiti dell’umano sentire, è sempre attualità di circostanza il cui transito fissa l’eterno. Il Poeta ne sa cogliere la luce attraverso i minimi respiri, ha occhi diversi ed errante dell’inermità in attesa del silenzio, scorge il fiore che attinge a tanta luce. Ovunque, tra nomi generici ed echi di sillabe, nei cieli delle città che affollano la vita egli ritrova la Parola che disfa nell’aria e ricompone la primavera. Qui, bella, inquieta ed accogliente è Milano, dove tra vecchi palazzi si rivestono di luce rampicanti e petunie e tutto riporta ad echi di stagioni vissute. Lieve la Parola poetica si alza dall’indifferenza: il Poeta compie il miracolo di un verso luminoso che è vero atto di fede verso la Bellezza.
Milano stamattina
Inizio di pensiero sgradevole, quasi selvaggio rifiuto,
poi un profumo di gelsomino, audace d’improvviso m’afferra.
Gironzola nell’aria vorticosa come un buffo bisticcio tra smog
e fragranze di tiglio che calma i respiri di gente affannata,
del vento annoiato, dello slancio consumato
del semaforo mai verde…
Nel mattino soffice che fruscia su di noi,
l’allegro profumo, come giostra gira su aiuole ridenti,
nei chiostri di antichi conventi e sull’ansito rinnovato
dei torbidi navigli, dove par di sentire
i canti di lavandaie stanche.
Sui vecchi palazzi, rampicanti e petunie rivestite di luce,
ballano al fiato di un vento tenace.
E’ una danza ritmata dai tram di segreti pensieri
che sferraglia alitando su nastri d’acciaio.
Continua la danza nei meandri di scale, nel singhiozzo
del metrò, tra sospiri di gente sempre in attesa
che si aprano porte.
Laggiù, scolpito negli occhi, ritorna l’eco di primavere lontane,
primavere vissute
lungo i sentieri ombrose di rose.
Nel tiepido giorno sei bella Milano, nel Duomo lucente
e nelle chiese d’incanto, che raccontano storie di giovani arditi.
Sei bella nell’aria intrisa di fremiti e colori
e come uno specchio d’infinite forme
abbagli lo sguardo smarrito in un brusio di festa palpitante.
Sei bella, inquieta e accogliente Milano
nell’azzurro verso di una colomba,
anche se il tuo cielo è lontano.
“Napoli”
Antonio Damiano – Latina
Tra le metamorfosi del tempo, lontano lo sguardo si allunga sul mondo che fu reale, ora muto teatro di immagini appese al filo della memoria. Solitudine nuova in questo viaggio a Napoli che oltrepassa, tra mutate realtà di passati orizzonti, quel tempo pur breve della giovinezza che ora è nulla al cospetto dell’Assoluto. Ma la parola poetica si fa soccorso e, ferma e sublime, sosta stupita a raccogliere l’inganno mutato nell’indifferenza e come valenza chimica tra i sogni si riappropria di sé, dissolvendo la tenebra del dolore.
Napoli
Sogno di bambino, immagine rapita agli occhi degli zii, quando saliva il canto innanzi al casolare al suono vellutato di bengio e violino. Ricordo di Caruso, di Gigli e di migranti, di chi lasciava gli occhi sull’onda che fuggiva.
E poi ti vissi: città sognata e mille volte amata
nei miei giorni degli studi, nel vociare lieto
tra i vicoli e i mercati, o nel profilo vago
tra il mare e la collina.
Lieve la parola della gente per le vie,
di chi viveva il giorno all’ombra di un sorriso,
occultando i graffi, il tempo gramo della vita;
e lo mutava in canto, in musica soave.
Sono tornato altre volte in altro tempo della vita,
come a ritrovare quello che lasciai:
un sogno, una speranza e la voce di mia madre
al momento di partire: “portaci un babà, o qualche
sfogliatella: tenera, croccante come loro sanno fare.
Ma che sia di Attanasio, nel vicolo che sai!”
E fu profumo che più non ritrovai,
come il tuo volto e l’anima di un tempo: città smarrita, senza prospettiva, coi figli
senza età che sciamano la sera cercando
a modo loro quel domani che non hai.
Aspra la parola e i volti nelle vie
segnati dall’inganno, dal ristagno della vita.
E i vicoli silenti, un solco tra le case
tra i panni da asciugare, aspettando sera
per un soffio di mare.
“Gli angeli non muoiono…”
Salvatore Lagravanese – Casal di Principe (Ce)
E’ nemesi universale, espiazione di colpe che vengono da lontano, dai millenni del tempo. E’ atto estremo di ribellione allo scempio che l’uomo infligge a se stesso, dinanzi al quale anche la morte talora indietreggia. “Un grumo di neve attorno alla solita pietra”, in cui si confonde il tratto umano ormai definitivamente smarrito ma che solo Poesia sa trapiantare in terra nuova come misterioso bulbo di antico perdono. Linguaggio asciutto e forte per una parola levigata e tremenda che coraggiosamente riafferma la forza della speranza come la sola che mai frantumerà contro le rocce dell’ inascolto.
Gli angeli non muoiono
L’arido spettro di Yara lasciata a seccarsi
In un grumo di neve attorno alla solita pietra
Alla solida corda sinistra attaccata al coltello
Come ombra di fanciulla che si lamenta della luce
E le sue ciglia colorate di sorrisi escono dalla tomba
Come magia che rovescia l’occhio
E percuote le giovani membra
Di chi occulta l’ombra
Oh Yara torna a casa è la più normale delle cose
Torna dalla porta principale
Che non conosce la radice del male
Staccati dalle ossa notturne
Che nel buio come oscure spose
Tranciano le spine e ogni rosa
Ed ogni buco diventa pozzo
Ed ogni pozzo diventa pazzo
Ed ogni pazzo diventa uomo
Ed ogni uomo bacia e uccide
Setacciate ogni tomba ogni goccia di rugiada
Ogni fiocco di neve
Ogni filo di pioggia e ogni raggio di sole
Setacciate i deserti e le ombra
Setacciate ogni angolo rettangolo e ogni triangolo
E ogni poligono e ogni pentagono e ogni cerchio
Fino al cerchio dei cieli
Setacciate l’anima di Sarah
Forse è trascesa nei suoi sogni
Nei sudari di luce ed amore
Menzogna del mondo e di ogni mondo
E tu Yara torna a casa è in gioco l’umanità
“Sguardi quotidiani”
Anna Santarelli – Rieti
Appena scostata dal tempo, la vicenda umana appare in un altrove sterminato dove il senso del tutto assiste all’irrisolta creazione della coscienza di sé. La forza che si insinua in ogni minimo gesto quotidiano protrae l’incompiuto e lo eleva ad eletto senso di vita. L’unghia del tempo non accoglie il futuro, non vive il presente già intaccato dal ricordo, ma è possibilità di un dono, del suo mistero, della sua meraviglia. Qui il Poeta narra il tempo come ricerca di identità e senso, facendone stile elegante in intima solitaria dizione tra “sguardi quotidiani” che indagano il mistero dell’incanto. E Poesia è tenace nel viaggio mentre spesso, incosciente e febbrile, risale gli abissi impietosi della solitudine.
Smarrire la forma
Smarrire la forma quando una crepa
a poco a poco incide spazio e tempo.
E’ disequilibrio, rottura, sguardo
su quell’abisso che ingoia giudizi,
opinioni oscura, impulsi latenti
custodisce, frammenti di priorità.
Coincide ogni stato con la fissità
del pensiero, reca i limiti concreti
dell’inquietudine e del cedimento;
dopo lo squarcio è l’ora della resa
al fiume inesausto del tempo.
Ritrovare sulla via una forma, fragile,
transitoria, mai definitiva; seppure
infranta dall’oscurità di un’altra notte
dai frangenti di una nuova burrasca
è grinfia nel braccio mobile del tempo
filamento di luce dell’alba nascente.
Svestirmi di ogni profilo, ogni parere,
riacquistare un volto, un aspetto:
fioriscono l’affanno e la speranza
il desiderio e l’ombra del mistero.
“”L’eterno vivere nel relativo assoluto”
Giosofatte Frisina – Oppido Mamertina (Rc)
Lontana da grovigli di metafore e straniante la coscienza in autentica cosmogonia, la Parola poetica sfida sofisticata e tenace qualunque risposta teologica. Elegante e colto, lo stile soccorre il verso narrato da Poesia che, qui, ascolta e si fa attendere – altera sovrana – anche senza risposta. Poesia che si fa contemporaneamente soggetto poetante, esposta al suo stesso testo che la rende “pubblica” attraverso il Poeta-strumento il quale sosta dentro il mondo e oltre, dentro il tempo e oltre, sopra di essi immediatamente, là dove dimora la tragica consapevolezza della precarietà immanente della vicenda umana, là dove muore – appena chiamato – finanche il silenzio.
Il poeta e la stella
Seminagione divina
sulla terra
come pioggia
di polvere di stelle
mi piace immaginare
il firmamento con amore materno
vegliar su noi la notte.
Ma forse non è un sogno
se si pensa
che al poeta
appiccicato a sé
sia rimasto un frammento
“”Incipit”
Fulvia Diotti – Albissola Marina (Sv)
Da ogni universo la Parola nasce impavida, giace a volte ferita sulla pagina bianca, riprende poi vita in nuovo “Incipit”, percorre il tempo e le cose, le stagioni e i silenzi, i luoghi e i miti, le religioni e le ideologie. Lieve e vigorosa, trova infine il cardine di se stessa negli oggetti e nelle penombre e non scioglie il nodo delle differenze. Un verbum poetico coraggioso si offre così alla custodia di chi lo legge, raggiungendo l’armonia della verità dove il Poeta comprende l’esattezza divina della vicenda umana (destino?), individuandone le leggi nel pluriverso frattale del divenire.
Paesaggio d’inverno al Poggio
Tutto sembra cielo
Cupo opaco spento e greve
Pennellato in infinite forme
Ognuna rimembrante esseri
Disperati alla ricerca d’abbraccio
A riscaldar la terra
A mutarne i colori
Tutto sembra uniforme
E privo di vita
Ma s’indovina al vento
Ululante in gelidi vortici
Trascinante foglie cadute
Mulinelli di freddi calpestii
Il desiderio di risorgere
Sotto la foglia di tenace violetta
Movimento ricrea la vita
E sfugge alla monotonia del cuore
Sezione Narrativa
Primo Classificato
“Io le parole non le conosco”
Sergio Ragno – Abbiategrasso (Mi)
La banalità del male ricade ineluttabilmente e sempre sui più deboli che talora sono bambini con difficoltà anche fisica nel vivere la quotidianità. Amare ed essere amati non è scontato, ma rivendicare il diritto all’amore è necessario per la conquista della dignità che rende gli uomini liberi e saggi. Imprevedibile è però la forma che l’Amore assume per consegnarci l’occasione di conquista che diventa infine un dono. A Rejanuri, il protagonista di “Io le parole non le conosco” , l’Amore si presenta come gioco sanguinoso e dolente, partorito dal male. Un male che nulla ha di logico o di inevitabile ma, come sostiene Hannah Arendt , “è soltanto estremo e sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, e nel momento in cui cerca, il male è frustrato perché non trova nulla. Solo il bene ha profondità e può essere integrale.”
Secondo clessificato
“L’ eco del mare”
Maddalena Frangioni – Segrate (Mi)
Atroce e languida malinconia nella vita di due donne molto diverse tra loro per storia, cultura, ceto e ruolo sociale: due solitudini che percorrono strade parallele, consumandosi furibonde verso l’ebrezza del dolore. Ma entrambe sognano e segretamente sperano che il mondo sia un luogo vasto e romantico come il mare, dove ogni passione ha gioco. Contrapposte amorevolmente nella quotidianità, Rose ed Eugenia si incontreranno veramente in un luogo del tempo e dello spazio dove esiste l’immensa, mirabile felicità da cui sgorgano inaspettati i fiori, l’amicizia, le dolci memorie: il mare, archetipo in cui tutto si annulla e tutto risorge, le sorprenderà complici a condividere, inaspettatamente felici, il significato del cielo e delle cose, delle stelle, della vita, della morte, dell’eternità.
Terzo Classificato
“”Incontro con Massimo Troisi”
Davide Kuhn Certosino - Napoli
Scardinare il modo convenzionale di guardare le cose sovente non rassicura, ma riafferma i dubbi e i paradossi della vita. Con una buona dose di etica moralità e di mesta ironia il palcoscenico della vita può essere calcato all’infinito, concedendoci la speranza che un giorno le angosce possano avere fine. O forse no? Ci porremmo così le domande sul nostro esistere, ma al contempo avremo improrogabili scadenze terrene da rispettare, problemi di parcheggio, terrore della multa per sosta in doppia fila, incomprensioni in famiglia e tanti altri affanni e angosce quotidiani. Magari il surreale incontro con il Poeta del sorriso, tornato dall’aldilà per sistemare sospesi terreni, con malinconica leggerezza ci donerà la certezza che “non ci resta che piangere”
Premio delle Critica
“Mo”
Daria Margo - Firenze
La Verità non è la forma essenziale del mondo, non c’è mai un’ultima Verità. Dietro c’è un velo, poi un altro velo e un altro velo ancora che nasconde la diversità. Ingannevole è il gioco di forme dove luci e ombre si intrecciano: solo ciò è dato conoscere. Il racconto “Mo” è metafisica della diversità, è celebrazione dell’Amore nelle sue indefinibili sfumature, è il doppio infinito che corrode ogni pensiero di negazione e affermazione. E’ consapevolezza che la diversità, per quanto integrabile ed integrata, resterà sempre estranea a tutto e a tutti tranne che a se stessa, è impossibilità alla irreggimentazione della propria identità, necessariamente uguale alla propria libera unicità. Scelta definitiva dinanzi all’estremo, coraggioso atto di fede dell’Amore per l’Amore. Senza tema dell’ignoto.